Ilaria Massocco | Formazione, team building e innovazione

Il cervello emozionale

Faccio il bis di tiramisù a merenda, poi per cena corro a prendere un hamburger vegan no ogm, no olio di palma, che potrebbe contenere tracce di pesce ma comunque pescato in un raggio di 10 km, anche se mi trovo a Verona e il pesce in questione è tonno.

Inizio a pensare che prenderò l’hamburger vegan quando ancora non ho terminato il tiramisù. Nel mentre penso che potrei compensare con una corsetta e che tutto sommato non sono completamente responsabile di quello che sto facendo.

Se non altro, gran parte della responsabilità è da attribuire al mio cervello. Lo sa chiunque.

Tutti i giorni ci giustifichiamo, accampiamo scuse, generalizziamo e crediamo di compiere scelte razionali. La maggior parte delle volte non stiamo facendo altro che alimentare il nostro cervello emozionale, che nell’intento di proteggerci ci porta a ricercare gratificazioni istantanee e sottovalutare quelle future.

Con queste premesse, se fossi stata una dei bambini del famoso esperimento dei marshmallow dello psicologo Walter Mischel, probabilmente sarei stata tra i due terzi che si sono pappati il dolcetto rinunciando ad averne un secondo.

Mischel coinvolse 600 bambini tra i 4 e i 6 anni, che vennero lasciati in una stanza vuota con davanti a sé un piatto con un marshmallow. I bambini potevano mangiarlo, ma se avessero aspettato 15 minuti come premio ne avrebbero ricevuto un secondo. Solo un terzo di loro riuscì a resistere. Ricontattato il campione a distanza di anni, l’esperimento ha messo in luce la relazione tra autocontrollo e maggior raggiungimento di importanti traguardi di vita.

Sono passati 50 anni da quell’esperimento e le neuroscienze confermano la tendenza. David Zald dell’università di Vanderbild, ad esempio, ha messo in luce come le cellule che rispondono alla gratificazione immediata siano il doppio di quelle che rispondono al segnale per una gratificazione posticipata.

Hai voglia a resistere al tiramisù. E a perseguire obiettivi futuri.

Euristiche e bias, le trappole del cervello

Perseguire obiettivi i cui frutti verranno colti nel futuro è talvolta un’impresa ardua, e mette in luce i limiti del nostro cervello. Allo stesso tempo, è proprio la conoscenza di quei limiti che ci può consentire di aggirare le trappole cognitive che tanto ci rendono difficile affrontare le sfide contemporanee, quella ambientale in primis (o resistere al tiramisù, ognuno scelga conforme al proprio stadio evolutivo!).

Il tutto è legato alla nostra storia.

La nostra sopravvivenza è dipesa a lungo dalla capacità di evitare minacce e ricordare opportunità, quali i luoghi con cibo e possibilità di ripararsi. Il nostro cervello ha imparato a filtrare rapidamente queste informazioni ricorrendo a scorciatoie che gli consentissero di risparmiare tempo ed energia nel processare le informazioni, le euristiche. Oggi, questi processi permangono e, se da un lato continuano a renderci la vita più facile, dall’altro creano pregiudizi cognitivi errati, i bias.

Conoscere i bias e salvare il Pianeta

Sono i bias i principali responsabili della nostra incapacità di mettere in atto comportamenti funzionali ad affrontare le trasformazioni che stiamo vivendo, soprattutto se abbiamo bisogno di proiettare le nostre azioni nel futuro, come avviene con la questione ambientale. Obiettivo reso ancora più arduo dai modelli attuali, che ci consentono di soddisfare la maggior parte dei nostri desideri con pochi click. Così, mentre schizzano le possibilità di gratificazione immediata, ci viene richiesto di compiere scelte i cui benefici riguarderanno le prossime generazioni.

Un vero grattacapo per il nostro cervello.

È qui che entra in gioco l’intelligenza ecologica, attraverso la sensibilità di guardare agli impatti del nostro agire sul sistema e che e si nutre di consapevolezza e di impegno collettivo. È l’intelligenza ecologica a rappresentare per Goleman, psicologo statunitense e tra i massimi esperti di intelligenza, il prossimo gradino dell’evoluzione.

Abbiamo un problema

Quella dell’intelligenza ecologica è una partita che si può giocare attivando un sistema di competenze ampio che necessita di comprensione cognitiva oltrechè emotiva, a partire dalla conoscenza dei bias che ne ostacolano l’applicazione:

  • Sconto iperbolico: è la storia dei marshmallow, nonostante le persone prediligano ricompense grandi piuttosto che piccole, preferiamo una ricompensa immediata rispetto ad una futura. Allo stesso modo, pensiamo che vivere alla grande il presente sia più importante del futuro;
  • Effetto spettatore: tendiamo a credere che qualcun altro affronterà le crisi e si attiverà al nostro posto, e più il gruppo è grande e più il pregiudizio è rafforzato;
  • Errore del costo irrecuperabile: abbiamo investito talmente tanto tempo, energia o risorse in una direzione che fatichiamo a cambiare strada, pur sapendo che rappresenterebbe la scelta migliore;
  • Mancanza di preoccupazione per le generazioni future: il nostro interesse si limita ai pronipoti, fatichiamo quindi ad accollarci sacrifici richiesti per altre generazioni.

E la soluzione

Per ogni intoppo una soluzione, ed è nel motto “pensa globale, agisci locale” che si evincono le modalità che risultano essere efficaci nell’affrontare sfide così complesse.

“Pensa globale, agisci locale” è un invito ad attivare cambiamenti enormi come quello ambientale valorizzando le individualità e la capacità di intraprendere soluzioni cooperative a partire dai propri gruppi di riferimento. Non è necessario essere un leader mondiale o sedere al tavolo del COP26, ognuno può incidere attraverso le proprie scelte.

I bias che entrano in gioco e ci aiutano a sostenere l’attività sono:

  • Effetto di dotazione: se sentiamo nostro qualcosa, (anche un’idea o un progetto), tendiamo a considerarlo di più;
  • Confronto sociale: tendiamo a valutare noi stessi guardando gli altri, se siamo circondati da persone che stanno agendo sul cambiamento climatico, è più probabile che facciamo lo stesso. Fosse anche confrontare la mia bolletta dell’acqua con quella dei miei colleghi;
  • Effetto di inquadratura: abbiamo maggiori probabilità di cambiare comportamento quando le motivazioni che ci spingono al cambiamento sono positive. Vogliamo immaginare di poter continuare a nuotare tra la barriera corallina, non di perdere la casa in un’alluvione.

Su queste premesse si sviluppa l’intelligenza ecologica, che fa riferimento alla capacità di apprendere gli effetti delle nostre attività sugli ecosistemi, per applicare ciò che conosciamo e condurre una vita sostenibile. È un cambiamento culturale che non ha precedenti e non c’è ambito della società che non possa essere coinvolto, questione resa evidente anche grazie agli impegni presi da  tante aziende.

Se numeri e statistiche ci aiutano a comprendere la portata dei fenomeni, non hanno la dote di risvegliare grandi entusiasmi (non nella maggioranza delle persone almeno).

Per quello, serve amore per ciò in cui crediamo e per ciò che facciamo. Abbiamo bisogno di innamorarci del mare, di sentirci appagati guardando alle vette, di risvegliare stupore e meraviglia per i colori dell’autunno, di sentirci inebriati per una giornata di vento, di guardare alla natura che ci circonda da folli innamorati.

Che “le persone proteggono ciò che amano”,  come sostiene Jacques Cousteau, esploratore, navigatore, oceanografo, regista, è d’altronde per me una grande verità.

Per sviluppare intelligenza ecologica usa il cervello

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